sabato 28 novembre 2009

"Sex in the City. Corpi, politica e spazi pubblici": un resoconto


di Maria Grazia Tundo

Erano in tante le donne. Erano in tanti anche gli uomini. Al punto che i posti a sedere si sono subito esauriti benché di questo incontro, dall’ironico titolo “Sex in the City. Corpi, politica e spazi pubblici” i giornali locali, seppure avvertiti, non hanno dato notizia. Tuttavia, quando le donne si organizzano, sanno usare le reti, che – essendo meno gerarchiche – sono loro più congeniali e così tra passaparola, diffusione su FaceBook e nelle mailing-list, il 27 novembre 2009, il Fortino di Bari era pieno di gente. L’organizzazione che ha dato vita all’incontro pubblico ha visto riunite le varie associazioni di donne della città, che confluiscono nel Coordinamento Donne e Potere, con il patrocinio del Comitato Pari Opportunità dell’Università di Bari.

Come ha ben chiarito nella sua interessante relazione Paola Zaccaria, le donne si sono ritrovate in questo luogo non per reclamare briciole di quel potere asfissiante e ottuso che pesa come una cappa di piombo sulle nostre vite, ma per recuperare “agentività, e performatività “, cioè gli spazi e i tempi di azione necessari per aprire veri orizzonti di libertà individuale e collettiva e per rispondere agli eventi pubblici che hanno reso palese l’intreccio tra potere maschile e corpi delle donne, discutendone secondo pratiche comunicative a loro più affini. Senza discorsi paludati o vacue aggressività comunicative, senza mai inciampare nella dimensione scandalistica e “gossippara”, a cui siamo ogni giorno così pesantemente esposti, l’incontro si è snodato tra voci intessute di intelligenza e cuore con tono lieve, ironico, giocoso e nel contempo con quella sana rabbia ben indirizzata che coniuga la voglia di cambiamento con il desiderio di trasparenza.

Paola Zaccaria ha introdotto i lavori, ricordando Brenda, Blenda, blended, corpo e anima di confine, trans “messa in mezzo” perché non ha saputo stare al suo posto, asfissiata simbolicamente, affogata tramite il suo computer. Si intravede in filigrana oggi un femminile che inquieta, che i dinosauri del potere vogliono ancora immaginare angelicato, secondo gli stilemi del “desiderabile” con marcature in puro stile anni ’50, mentre questo uso del potere sta distruggendo sia la politica (che, al contrario, dovrebbe creare libertà e convivenza) sia la sessualità, deformata con il bisturi della videoplastica.

Alle parole di Paola, è seguito un estratto del documentario "Il corpo delle donne" di Lorella Zanardo, che mostra il grande circo della TV, dove il corpo femminile viene quotidianamente mostrato in tagli da bancone di macelleria: assemblando le immagini che ci accompagnano quotidianamente, lei ha “svelato”. E’ stata per questo soggetta ad attacchi vergognosi da parte di una testata la cui pratica giornalistica si rifà alle tecniche comunicative usate nel mondo distopico delineato da Orwell in “1984”, per questo – sebbene invitata - non se l’è sentita di venire, per bisogno di stare un po’ nell’ombra, ma contenta che si usasse il materiale da lei prodotto.

In opposizione al luogo comune che interpreta il non-comparire delle donne sulla scena politica come implicante un loro complice non-esserci, si è sottolineato come invece siano proprio i mass-media a non mostrare la dimensione politica e pubblica di quel costante lavoro femminile che produce saperi e cultura ma, non essendo caratterizzato da elementi di spettacolarizzazione, non fa “audience”. Esiste tutto un movimento di donne che usa altri luoghi e spazi, come ad esempio il blog e la rete, per “prendere posizione”, spazi che hanno una dimensione post-coloniale, “schierata a sud”, con la differenza di posizionamento che ciò comporta. In realtà, ricorda Paola, citando Monica Pepe (http://www.zeroviolenzadonne.it/), quella della donne è «l’unica rivoluzione permanente in tutto il mondo», malgrado la costante censura operata su un immaginario femminile che non vuole omologarsi.

Siamo in epoca di brutalità, di sesso e politica degradati, a cui le donne di Bari hanno voluto rispondere con un sorriso, che non è accondiscendenza, ma farsi beffe delle contraddizioni del potere. Chi è la escort, ci si chiedeva? Non è oggi piuttosto una figura dell’immaginario su cui molti uomini si modellano, quei giornalisti “esperti in prestazioni orali” che leccano il potere in perfetto stile maso-fascio? Quanti uomini si sono già venduti e continuano a vendersi pur di frequentare le stanze del potere?

In risposta a questa doppiezza, la voce di Pia Covre, del Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, appariva una voce di pulizia e verità. Ci si può vendere il corpo, in pura consapevolezza, senza vendersi l’anima, per restare padrone di sé? Covre, senza ipocrisie, ha messo in luce la doppia morale per cui i giornali si riempiono di pettegolezzi e maldicenze per degradare i soggetti coinvolti, mentre i discorsi critico-politici di spessore rimangono a debita distanza. Sottolinea come uno scambio esplicito “sesso-denaro”, sia molto meno destrutturante per la democrazia, la parità e l’uguaglianza di uno scambio “sesso-favore politico”. Il proliferare delle ordinanze dei sindaci in favore del decoro delle città sono solo una maniera per criminalizzare quella prostituzione che conosce la povertà, l’emarginazione, lo sfruttamento, mentre quella d’alto bordo, molto più rovinosa per il tessuto sociale e politico di un paese, perché ricompensata con favori politici, è tacitamente accolta e sostenuta. Ecco allora le donne vittime della tratta e dei trafficanti che non hanno più il coraggio di denunciare, che non si curano più per paura dell’espulsione, in una palese violazione dei diritti umani.

Maria Laterza, a sua volta, ha passato in rassegna il punto di vista della stampa straniera sulle vicende italiane, che si riferiscono al potere nostrano nei termini del ”ritorno del principe”, di una vera e propria sua divinizzazione, ed inoltre ha evidenziato come si stia assistendo al meccanismo per cui le “donne di sogno” possono facilmente trasformarsi in un incubo per il potente di turno.

La semiologa Patrizia Calefato, con il supporto tecnico di Claudia Attimonelli (che ha anche curato le scelte musicali) ha poi scelto di trattare la questione in modo incisivo e spiazzante con un intervento multimediale dal titolo Le gambe delle donne. Corpo, stereotipo e comunicazione, in cui, tramite un collage di immagini e spezzoni-video tratti dalla televisione, dal cinema e dalla pubblicità, dagli anni ’50 ad oggi, si è mostrato come l’immaginario contemporaneo in Italia sia tornato a disegnare rapporti tra i generi che sembrano fermi agli stilemi degli anni ’50, dimenticando le provocatorie rappresentazioni di un femminile che, negli anni ’70, ironicamente metteva in scena la libertà di godere del proprio corpo, finalmente libero da busti, corsetti e restrittive insegne della femminilità. A partire da Abbe Lane e dalle gemelle Kessler, per passare a Silvana Mangano, il cui ballo viene citato da Nanni Moretti, per giungere alle ironiche pubblicità che vedono protagonista George Clooney, Patrizia ha evidenziato come le gambe delle donne, a lungo censurate nella TV di stato, siano oggi sovraesposte, ma con effetti analoghi: non sono gambe libere di donne che ballano la propria gioiosa indipendenza, correndo e percorrendo il mondo nell’unicità del loro dinamismo, ma gambe ingabbiate nella ritualità di una danza fatta soltanto per accondiscendere al desiderio di nuovi padri-padroni.

Anche le studiose Angela D’Ottavio e Betta Pesole, che si definiscono giocosamente “Pussy Power Connection”, ci hanno ricordato che oggi le nuove favole raccontate alle donne occidentali sono che lo stato di diritto sia più forte delle leggi di mercato, quando invece quest’ultimo precarizza quotidianamente le esistenze delle donne non riconoscendone il lavoro sessuale, emotivo e riproduttivo, quando “femminilizzazione del lavoro” oggi indica solo corpi docili di lavoratori, corpi usati come lubrificanti sociali per ingentilire contesti in cui le decisioni vengono prese da altri. Insomma hanno sottolineato la presenza di una sorta di tacito patto omosociale che vede complici uomini anche anche appartenenti a schieramenti politici diversi, mentre si discetta su quale sia il “vestito giusto“ per una femminista (il velo? la minigonna? il tubino nero?). A loro avviso è proprio dalle lotte e dai movimenti organizzati delle sex worker, così come da quelli delle donne migranti che si oppongono alle violenze e alle espulsioni, che dovrebbero ripartire i femminismi.

L’incontro si è concluso con un breve messaggio-video di Ella De Riva misteriosa figura della rete, che preferisce restare nell’ombra della sua identità segreta per permettere alle sue parole di transitare, di circolare liberamente e che chiede ai presenti di ricominciare a far politica con passione e gioia, reinventando la comunicazione, ridisegnando il mondo a partire dalla trasformazione del rapporto tra i sessi, andando oltre la telenovela di “Sex in the City”, prodotta da quei benpensanti che, mentre gridano allo scandalo, operano una costante precarizzazione del lavoro, una trasformazione degli stranieri in clandestini e una progressiva chiusura degli spazi di una democrazia veramente partecipata.

E’ stata infine la voce di Rosapaeda, che ci ha regalato il suo canto insieme al musicista Edi Romano, a salutarci ed accompagnarci idealmente verso i prossimi incontri che il Coordinamento delle Donne di Bari sta organizzando

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