venerdì 2 ottobre 2009

Riflessioni su donne, politica e potere

di Titti De Simone

Esistono donne che non sono donne, giacché donne si diventa. Sono cioè persone biologicamente di genere femminile, il cui mondo (l’immaginario), è dominato dal maschile. E questo non c’entra niente con l’amore. Né con la passione. Né con il sesso. Perché amore, passione e sesso sono movimenti asimmetrici di libertà, di desiderio estremo di trasformazione. Leggendo certi commenti, guardando certe trasmissioni televisive, mi accordo che ad andare di scena è la fiction del femminile, il corpo del femminile ingabbiato nel potere maschile, conquistato dal maschile, incarnato dal maschile. Non è da oggi, diremo.

Sappiamo che c’è uno scarto, uno spazio di libertà, fra questa fiction e la realtà delle donne, che è una pratica concreta e quotidiana di autorevolezza e di verità femminile. Tuttavia il salto di qualità è notevole, perché la capacità di colonizzazione di questa fiction prodotta in particolare dal berlusconismo, dai media e dalla tv come suoi devoti servitori, è fortissima ed ha costruito immaginario, modelli, pensiero, è stata persino in grado di orientare i nostri desideri, che rischiano di ridurre proprio questo scarto tra fiction e realtà.

A dispetto di quello che dicono e scrivono illustri giornalisti, e giornaliste, politici e politiche, la questione non è affatto responsabilità del femminile, o meglio del femminismo, silente o addormentato.

Se a colpirci veramente è l’arroganza del potere e il degrado della politica, anche qui dobbiamo constatare che non è sufficiente il comportamento di Berlusconi, e degli altri politici di destra e di opposizione a suscitare una presa di parola del maschile, innanzitutto, per cominciare a produrre una critica radicale sulla sessualità maschile e sul potere.

La discussione si ribalta sulle donne. Sulla presunta docilità del femminile, sul silenzio delle donne. Come se vi fosse una nostra responsabilità o cecità. Eppure, nessuno sa spiegare, il disinteresse un po’ snob manifestato prima per Veronica Lario, e poi il fastidio di gran parte dell’opinione pubblica, e dei media per Patrizia D’Addario.

Non sono affatto femministe, queste due donne. Ma in modo diverso, certamente, sono figure che si ribellano. Nel caso della D’Addario, o di altre, sono figure che messe al servizio della sessualità maschile, poi si ribellano con i mezzi che hanno: se l'altra parte non sta al contratto tacito o esplicito sono pronte a rivoltarsi.

A me pare che non sia il silenzio delle donne a doverci interrogare; innanzitutto perché questo silenzio non esiste e non è mai esistito. Se solo stampa e politici sapessero guardare con le lenti giuste la nostra società, e quella del mondo, riconoscerebbero ovunque esperienze di libertà e molteplici forme di resistenza e dissociazione che si sviluppano anche dove la politica e l’informazione non le vedono. Quella realtà che comprende, oltre che il possibile, anche l'impossibile, l'inaudito, il non mai udito né pensato nei codici fino qui adoperati. L’eccedenza del femminile appunto. La società italiana è uno straordinario laboratorio di libertà femminile, il problema è che i media e il discorso politico prevalente occultano questo laboratorio.

A me pare, come sempre, che il problema sia la politica, (la polis), ed è il suo silenzio, che dovremmo esaminare, giacché è innanzitutto la politica che occulta le donne in questo paese.

Analizziamo il rapporto fra politica e libertà femminile come spazio politico. Siamo l’unico paese dell’occidente capitalista in cui delle donne ci si occupa quasi esclusivamente come categoria del welfare, e per giunta di un welfare sempre meno a sostegno della libertà femminile.

E nel discorso politico, nessuna forza, nemmeno fra quelle extraparlamentari, prova ad agire pratiche che tengano conto della differenza di genere, a rompere il patto di connivenza culturale che determina la cooptazione delle donne nel ceto politico. Il pensiero femminista è scomodo per tutti.

Le pratiche di libertà, di autonomia delle donne sono troppo ingombranti con le carriere di uomini e donne del ceto politico, fino a divenire inconciliabili con la politica mista. La politica ha paura delle donne? Certamente la politica non ama le donne. Ha scritto Tamar Pitch, che troppi uomini hanno paura della libertà delle donne. “Comunque si manifesti. Nella contrattazione del sesso, nella parola pubblica di una moglie, nell’autonomia delle scelte di vita. O nella presa di distanza dalla (loro) politica”.

Questa analisi è condivisibile. Ciò di cui dovremmo quindi discutere pubblicamente è la diffusa incapacità maschile, in tante situazioni e rapporti, a cimentarsi in relazioni con donne non subalterne. La crisi della sinistra ha molto a che fare con questo ragionamento. Perché i politici italiani della sinistra non si sono mai voluti confrontare veramente con il femminismo. E in questo modo il loro discorso non solo non è convincente, ma non è in grado di opporsi concretamente all’egemonia culturale, dando ad esempio una risposta alla crisi della politica.

Ciò che costruisce un caso intorno alla vicenda italiana è senz’altro l'ansia di addomesticare un femminismo radicale capace di trarre dalla libertà femminile una forza trasformativa degli assetti di potere tra i sessi (B. Pomeranzi). Una questione troppo scomoda e oggetto di alleanze bipartisan. L'Italia infatti, rappresenta una anomalia all'interno della scena mondiale perché, nonostante la scarsa presenza femminile nelle istituzioni, (di cui l’amministrazione di centrosinistra di Bari è uno degli esempi più emblematici), sin dagli anni '70 ha avuto un femminismo che reclamava non l'inclusione delle donne negli spazi creati dagli uomini, ma una trasformazione radicale del campo della politica e delle pratiche del conflitto a partire dalla differenza sessuale. E’ di questa trasformazione che anche oggi le donne parlano. Se qualcuno davvero vuole ascoltare, e vedere. E’ su questa trasformazione che il Coordinamento Donne e Potere, le diverse soggettività politiche delle donne di questa città hanno chiamato dopo le elezioni sindaco e partiti della maggioranza alle loro responsabilità, data l’emergenza democratica di un consiglio comunale senza donne elette. E lo hanno fatto pubblicamente, con un documento presentato e sottoscritto dal sindaco in un incontro pubblico. Ma i fatti, hanno smentito tutti, sindaco e partiti. Di chi è il silenzio allora? Non è forse la politica che tace e che occulta? E che dire della vicenda di Taranto? Una foglia di fico. Come se cooptare una donna in una giunta fatta di soli uomini bastasse a chiudere il problema. Di chi è la responsabilità anche questa volta? Delle donne che non “riescono” a farsi eleggere dentro una politica senza politica dominata dal maschile? Delle donne che non usano il potere maschile o non hanno abbastanza potere per competere con gli uomini?

Forse di fronte alla crisi della politica e al conseguente decadimento della scena pubblica, quello che deve interessarci oggi è trasformare l’indignazione in una mobilitazione di lungo periodo. Suscitare un'opposizione politica femminile, che faccia posto, alla "verità delle donne", e per farlo forse le donne dei partiti e quelle dei movimenti, devono provare a riparlarsi e a lavorare insieme. Mi chiedo che succederebbe, se le donne dei partiti non accettassero compromessi al ribasso? Come i tanti cosiddetti “fiori all’occhiello” delle candidature elettorali, pescate anche nei movimenti e funzionali alla ricerca dei voti. O come le nomine decise per cooptazione maschile, prive quasi sempre di competenze reali? E se rompessimo questo finto equilibrio? Il fallimento da cui alcune di noi vengono è palese: all’interno dei partiti non siamo riuscite a determinare uno spostamento reale di pratiche. Le nostre pratiche sono state messe in sordina, richiamate all’ordine, marginalizzate, se non espulse.

Penso che la crisi è quanto mai profonda. E al momento solo nella relazione politica con i movimenti delle donne possiamo costruire una forte, autorevole e diffusa opposizione politica femminile, ma ciò significa prendere le distanze dalla (loro) politica e farlo senza sconti. Per rilanciare un spazio politico di libertà femminile.

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